venerdì 12 giugno 2009

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Evelina Schatz
300 ponti nella Venezia del Nord

"La ragione di una così improvvisa esplosione di vigore creativo fu, ancora una volta, prevalentemente geografica", secondo J. Brodskij.

L'avvento di San Pietroburgo fu paragonabile alla scoperta del Nuovo Mondo. La contemplazione della grandezza è la calce delle sue fondamenta. La città è una rêverie, è un evento dell'altrove. Quando tale altrove è naturale, quando non si trova collegato al preciso passato storico, esso è immenso. L'immensità si potrebbe definire come una categoria filosofica di questa città. Così la nazione poteva essere vista da fuori da un alto geografico tale da rendere alienante il raggio di visione.
Quell'in alto, quel luogo dell'Utopia che è Pietroburgo era lo spazio della estraniazione. Dispensava gli uomini della cultura russa dall'idea del viaggio. Mentre si avverava, nel tempo, la profezia di Puškin: "Tutte le bandiere verranno ospiti a noi!". E la città "nuova in un paese vecchio" diventava "più originale di tutte le città americane", dunque una "nuova speranza" esclamava Belinskij. Dunque, un ordine migliore.

L'architettura viene così ad assumere una rilevanza anche sociale. La proporzione è una virtù. Concepita sotto il segno della nordica grecità, la città nutre un'acuta coscienza della forma incurante della proporzione. Monumento, o piuttosto un sarcofago per uno zar che aveva così forte l'idea d'eternità e d'immenso da immaginare la sua città indistruttibile: può solamente dissolversi, mentre l'aria non può essere più di vetro ma di porcellana. Visto che è l'Asia che da qui Pietro il Grande, l'europeo per principio, volle dominare, dal "limite del suo immenso regno, paragonabile a un capitano che collochi il ponte di comando sulla prua della sua nave" (J. Roth).

Città-ponte di comando è anche una metafisica ragnatela: "città dei ponti". L'immaginario architettonico in cerca di una metafora: Venezia del nord, Palmira del nord, Babilonia delle nevi. O piuttosto delle paludi sulle quali sorge la realtà, meno straordinaria dell'immaginario: volontà implacabile di un uomo, maestria di centinaia di architetti e di artigiani stranieri e fatica di uomini e schiavi russi, futuri pontieri, con il loro lucido culto dello spirito. Lo spirito di un'Idea. Con la orientale qualità di contemplazione della grandezza. Si sa, l'immensità è il moto dell'essere immobile. Pietroburgo così già al nascere è rudere del passato e del futuro.

L'archeologia della polvere conferisce alla città notturna la luce morbida e profonda dell'argento, grande scenario, quello dell'immenso, sul quale si apre la vicenda dei ponti. Ragnatela che sa produrre e percepire l'eco, e le notti bianche, pregiate e lucenti, le nebbie, nobili araldiche nebbie della memoria.

L'acqua gelida si snoda silenziosa e veloce dal lago Ladoga, oltrepassa fortezze e palazzi, e incanalandosi tra quarantadue isole (in tutto seicento tra fiumi e canali) si getta con forza nel golfo di Finlandia. Le onde di questa invasione si possono ancora notare molte miglia al largo.
La violenza della corrente, il perdurare di ghiacci e i non meno violenti disgeli rendono difficile la progettazione dei ponti ai tempi di Pietro. Tuttavia non erano queste le ragioni per cui non si costruivano. Lo zar voleva che i suoi sudditi imparassero a navigare: in autunno e in primavera, periodi del formarsi e dello sciogliersi del ghiaccio, gli abitanti delle isole sulla Neva erano praticamente tagliati fuori dal resto della Russia.

Tuttavia dai tempi di Trezzini, il primo architetto e sovrintendente di una città che conta 34.500 edifici nel 1714, dell'architetto-igegnere Schluter, e di Le Blond che stese nel 1716 il piano regolatore della città, il paesaggio essenzialmente orizzontale di Pietroburgo, senza dintorni, senza passaggi metropolitani o ferroviari, conta circa trecento ponti. Colpa di Le Blond. Firmò nell'aprile del 1716 un contratto senza precedenti: sarebbe stato in Russia in qualità di architetto sovrintendente per cinque anni con un salario minimo garantito di 5.000 rubli l'anno. Dimora, permesso di andarsene a fine contratto, e tutto senza alcuna tassa. Doveva progettare e insegnare a farlo ai russi. Aveva 37 anni.

Il suo piano regolatore doveva essere attuato a tempo indefinito. Intuiva il concetto di russità. Volle una città solcata da numerosi canali sul modello di Amsterdam. Appunto, città dei ponti. Un'enorme scacchiera acquatica. In mezzo, quattro chilometri di Prospettiva Nevskij, tra l'Ammiragliato e il monastero di Aleksandr Nevskij, il viale lastricato da squadre di prigionieri svedesi (che avevano anche il compito di ripulirlo ogni sabato): la via più famosa di tutte le Russie.

Tra il viale e i ponti - l'essenza del paesaggio e la penetrazione dello spazio. Alla base di questo sta l'equilibrio tra elementi orizzontali e verticali del disegno in una prospettiva essenzialmente orizzontale. E non solo l'equilibrio. Sul terreno fertile dell'eredità classica, il costruttivismo nordico e lo spiritualismo decorativo orientale sembrano smorzare le rispettive asprezze in una sintesi piena di equilibrio armonioso, ma anche di grandezza. Trascende il principio del form follows function. Qui in ogni sorta di epoca prevale sul funzionale il moderno, cioé dell'epoca l'incalzante spirito nuovo.

E i ponti si inarcano, come se le isole del delta tendessero le mani e si lasciassero andare adagio alla deriva, verso il Baltico. E allo spezzarsi degli archi, le grandi navi entrano, penetrando nuovi spazi e creando nuovi ponti, quelli del commercio che è la vita. Come i grattacieli di New York, quei ponti fanno parte in scala gigante, dei complessi architettonici del funambolo europeismo.

Il primo – in legno – è del 1706, tre anni dopo la fondazione della città. Nel 1749 altri 49 ponti in legno sfrecciano sui canali sostituendosi ai ponti naturali di neve e di ghiaccio. Il ponte Isaakievskij era già un ponte galleggiante. E dal 1779 si costruiva anche in inverno, sui canali ritagliati nel ghiaccio. Erano ponti-miraggio: durante il ledochod (moto del ghiaccio nel disgelo dei fiumi), tutti questi ponti si smontavano. Nel 1820 le teste del ponte Isaakievskij sono già in pietra. Si vedono ancora oggi, rivestite di solenne granito come il resto della Neva. Non c'è più il ponte. Nel 1916 fu bruciato da una scintilla nel passaggio di una nave. Non ci sono più i ponti galleggianti, ma quelli di legno si trovano ancora vicino alla fortezza Petropavlovskaja, sull'isola Kirovskij e sul canale Obvodnyj.
Dalla metà dell'Ottocento, appunto, la Neva si veste di granito. Nascono i primi ponti di pietra. Segnano, in pietra, il passaggio dall'esuberante barocco del nord al severo classicismo. Gli autori sono sconosciuti. La nobile semplicità si ammorbidisce ancora con qualche fugace nota del barocco. Si sa, in Russia i tempi non sono affatto lenti: sono diversi. Ed ecco il paesaggio inedito della città trafitta dall'ago dell'Ammiragliato: la geometria delle prospettive è ideale per cancellare le cose per sempre.
Questo paesaggio architettonico, che fu safari creativo per artisti e costruttori italiani, francesi e tedeschi, scozzesi e olandesi assume il suo aspetto imperiale anche col moltiplicarsi dei fregi dell'arredo urbano. Lesene, colonnati, portici, varietà e meraviglie rasentano l'oscenità. Cancellate rendono ponti e parchi luoghi circoscritti da eccezionali quinte in ferro, forma condensata del tempo. E in mezzo a questo narcisismo urbano nella mitica luce bianca della notte e obliqua dei lampioni, un viandante che attraversi il ponte capisce finalmente cosa intendevano i costruttori nell'inarcare queste passerelle, queste trasversali: un gigantesco specchio per un pianeta solitario. Il ritmo solenne e monotono dei colonnati, piloni, lampioni si confonde con quello delle acque a specchio: lì tremolano le fronde metafisiche del Giardino d'estate che come corona del ragno si trova nel centro della pontuosa ragnatela.

La popolazione che era zero nel 1700, aveva raggiunto il milione e mezzo nel 1900. Spesso la Russia comprime i secoli in decenni. Il suo colore è velocità. Il tempo qui ha una dimensione mitica perché il mito è quello della creazione. I ragazzi di Pietroburgo vedendo un rimorchiatore lottare contro la corrente del Baltico mentre i ponti issati rallentano la presa della mandibola d'acciaio imparano, come diceva J. Brodskij, più cose sull'infinito e sullo stoicismo che dalla matematica e da Zenone.
Tuttavia matematica, scienza delle costruzioni, urbanistica, economia, cioé l'Accademia, non furono mai messe da parte.
Il problema della tipizzazione fu intenso qui già nel Settecento non solo in termini economici ma nei termini dello specifico architettonico, conferendo unità compositiva e severità di ordine a fiumi e canali.
Di questa prima costruzione in serie, appunto, si sono conservati, tra i più interessanti, i ponti Staro-Kalinskij e Lomonosov, le cui torri di granito conservano la storia dei così detti ponti fratelli.  Nei primi dell'Ottocento arriva il materiale nuovo: il metallo. Il primo ponte di ghisa, Policejskij, è del 1806, opera dell'architetto Geste, su idea dell'ingegner Fulton. Nuovi materiali, nuove forme. Cinque volte più robusta del granito, la ghisa permette proporzioni aeree. Tra il 1820 e il '30 Basen, Adam, Freter, ingegneri dell'Istituto Politecnico dei Trasporti creano dei nuovi complessi di ponti di perfezione orafa. Nel 1823 il primo ponte sospeso della Russia unisce le rive della Fontanka.
Il primo ponte metallico sulla Neva (1843-1850), il Nikolaevskij, è opera dell'ingegner Kerbedz e dell'architetto Brullov. Fu issato, nel '17, contro la rivoluzione. Ma l'incrociatore Aurora sparò a salve da dietro il ponte, e la città divenne Leningrado. Il manufatto (oggi ponte Schmidt) diventò uno dei più grandi ponti saldati nel mondo negli anni Trenta. E' epoca di ricostruzione. Il ponte in ferro Litejnyj, di Struve (1875-1879), subì negli anni Sessanta un remake neotecnologico: l'immensa campata dell'ala issata è una straordinaria visione. Lunga 55 metri, larga 34, pesa 3.225 tonnellate. Sollevata, si mette in verticale in due minuti.
E' difficile elencare le centinaia di ponti nuovi in acciaio, alluminio, calcestruzzo, realizzati con nuovi metodi di montaggio. Simile destino ebbe il ponte d'acciaio Troickij (1897-1903), compagnia costruttrice la francese Batignolles, con ingegneri e architetti russi. La solenne inaugurazione avvenne nel 1903 per i festeggiamenti dei 200 ani di Pietroburgo. Ribattezzato Kirov nel 1934, fu in parte rimodernato tenendo conto dei passaggi delle navi moderne e dell'apertura di una nuova via fluviale tra il Volga e il Baltico.
Schiere di architetti, di ingegneri, di urbanisti continuano a costruire, ricostruire, a ingrandire: sempre più luci, sempre più arcate, sempre più potenti le ali, sempre più forti i muscoli levatori.
Ma la fisionomia essenziale della città è pressoché intatta. E i cinque milioni di abitanti non creano ressa. Un pietroburghese è sempre solo quando da un ponte cerca, riflesso nell'acqua, l'ago d'oro della guglia dell'Ammiragliato rimandato come un'eco delle nuvole.

Nota

Evelina Schatz è nata a Odessa e da tempo vive a Milano. Si è laureata alle Università di Mosca e di Milano in Storia dell'arte. Poeta in lingua italiana e lingua russa, artista, saggista, storico e critico dell'arte, giornalista, regista, ricercatrice culturale, interprete parlamentare, suoi saggi sono apparsi in riviste e libri specializzati in Italia e all'estero, in quotidiani in Italia e in Russia, tra cui il Corriere della Sera; si occupa di teatro e di cinema, di musica e di multimedia. Docente universitario, consulente editoriale con l'accento sull'editoria elettronica, è Vice Presidente del Consorzio Internazionale Capolavori dell'arte (strategie e nuove tecnologie per la cultura, l'educazione e la comunicazione) con sede a Mosca.

Ha pubblicato raccolte di poesie tra cui: Facezie o dell'ardore (1976, premio città di Como), Samarcanda o delle cerimonie (1986), Lettere d'inverno (1986), Atlante delle cerimonie (1988, premio Gozzano), Variazioni sul nero (1992), Romanzo autobiografico minimo in 13 capitoli (1992), Lapidi (1993), Tamburi di Sicilia (1993), Catottromanzia ovvero il libro dei riflessi (1993), Per alcuni le stelle (1996), Pathos del nascosto (1996), Inventario della melanconia (1996), Stanze sicule (1997, in stampa), Edinorog (1997, in russo, in stampa), Evelinae Carmina (1997, in stampa), Hotel Londonskaja (1997 - 1998, in corso di preparazione).
Compositori italiani e russi hanno tradotto in musica molte delle sue poesie e prose poetiche. Ha creato numerosi libri-oggetto e libri d'arte con artisti di rilievo italiani e europei. Dal 1996 lavora su opere plastiche, creando poesie-sculture e icone di nettezza urbana. A partire dalla Biennale di Venezia nel 1978 ha esposto libri-oggetto, poesia visiva, re-melt e opere concettuali in Italia e all'estero.
Sue opere si trovano nel Museo Literaturnyj e Museo dell'Arte Occidentale e Orientale di Odessa (ex-URSS), alla BAN (Biblioteca Museo dell'Accademia delle Scienze, San Pietroburgo); in collezioni private in Italia, Russia, Ucraina, Giorgia, Estonia, Kazakistan, Uzbekistan, Tadzikistan, Bulgaria, ex-Jugoslavia, Germania, Inghilterra, Francia, Svizzera, USA, Brasile.